L’agenda Draghi, la questione sovranazionale e il Gattopardo di Bruxelles – G. Guerra

È difficile essere sorpresi dal risultato delle elezioni del 25 settembre. Invero, l’exploit di Fratelli d’Italia, se non proprio scontato, era quantomeno ampiamente prevedibile. Che le fiammate populiste che hanno incendiato la politica italiana negli ultimi trent’anni costituiscano forme di reazione al sempre più frequente insediamento di «governi tecnocratici» [De Fiores 2021] legati da uno speciale “rapporto di fiducia” con le istituzioni europee [Lupo 2015] non è affatto un mistero. Era quindi piuttosto chiaro che, collocandosi all’opposizione del Governo Draghi, ossia l’esecutivo che più di ogni altro, nel corso della storia costituzionale del nostro Paese, ha incarnato la condizionalità made in EU, il partito guidato da Giorgia Meloni avrebbe avuto gioco facile a presentarsi agli occhi dell’elettorato come soggetto alternativo rispetto al resto delle forze politiche, che pressoché en bloc avevano votato la fiducia all’ex Presidente della BCE.

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